Un po’ meno si sa, invece, su come sia stato possibile sottovalutare il valore artistico, ma anche quello più materiale dell’opera. Delle ottantamila lire riferì Federico Zeri – uno che su quella Annunciazione e su Piermatteo lavorò molto e con passione – più di 25 anni fa nel corso di un convegno che si tenne a Narni,ad iniziativa della Provincia di Terni: “Dall’Albornoz all’età dei Borgia. Questioni di cultura figurativa nell’Umbria meridionale”, era il tema.
Quelle ottantamila lire – è il succo del racconto di Zeri – furono incassate dai frati di Santa Maria degli Angeli i quali avevano avanzato formale richiesta del permesso di vendere quella pala, che era – spiegarono – in cattivo stato di conservazione e che era in definitiva un “oggetto inutile”.
L’Annunciazione era stata realizzata da Pier Matteo per il convento della Santissima Annunziata di Amelia, ma da qui era finita a Santa Maria degli Angeli dove era appesa ad una delle pareti esterne della Porziuncola. Lì è restata per secoli e v’era ancora quando,nel 1875, seguendo le “nuove tecniche” di riproduzione di immagini, uno studio fotografico di Roma, la fissò su lastra.
La vendita, da parte dei frati, avvenne poco tempo dopo tra il 1880 ed il 1900. Le ottantamila lire le sborsò un antiquario londinese socio di Bernard Berenson, critico d’arte americano. “Il” critico d’arte, a quei tempi: bastavano due righe scritte da lui e il dipinto era considerato sicuramente originale e dell’autore cui egli lo attribuiva.
Nel caso in ispecie, comunque, si sbagliò: la paternità dell’opera secondo lui era di Fiorenzo Di Lorenzo, anch’egli pittore umbro del Quattrocento, perugino. Non sbagliò, però Berenson, nello stimarne il valore e nel consigliarne l’acquisto alla collezionista americana che era stata la sua mecenate, avendogli pagato gli studi ad Harvard: Isabella Stewart Gardner. La signora acquistò la pala, la fece restaurare e la espose nel suo museo, il Museo Gardner appunto, a Boston.
Allora erano parecchie le opere d’arte italiane – e non solo – che acquistate per quattro soldi venivano rivendute dagli antiquari ai collezionisti americani a cifre moltiplicate per decine di volte rispetto a quella di acquisto. Se ne crucciava, Berenson, ma le sue erano lacrime di coccodrillo. Intanto perché realizzava forti guadagni; poi perché comunque s’era creato un’autogiustificazione morale, sostenendo – come scrisse in una lettera alla Gardner – che egli rendeva «uno straordinario servizio all’America per mezzo dell’arte» e contemporaneamente salvava «i capolavori che portava clandestinamente fuori dall’Italia dall’incuria e dai saccheggi degli italiani».
Tra questi capolavori “salvati” c’era quell’Annunciazione che Isabella Gardner acquistò. Lei era innamoratissima dell’arte italiana, dell’Italia e specialmente di Venezia. Una riprova? Fece portare a Boston le pietre di un palazzo veneziano per utilizzarle nella costruzione di quello che oggi è il museo Gardner e che per un breve periodo fu la dimora di quella eccentrica e ricchissima signora. La quale salvò, forse, dall’incuria l’Annunciazione di Piermatteo,
Isabella Stewart Gardner e, a sin., il museo da lei fondato
ma nel contempo alimentò non poco il commercio clandestino di opere d’arte che ha arricchito parecchi personaggi senza scrupoli, impoverendo l’Italia.
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