Donato Sbarretti, il potere della tonaca

Che fosse uno di quelli che contavano davvero, lo dimostra che il suo nome ricorre, nelle cronache dei fatti vaticani, specialmente in occasione di cerimonie ufficiali promosse in onore del re o che si tenevano in qualche ambasciata: tra i presenti il cardinale Sbarretti, si legge all’improvviso nello scorrere, ottant’anni dopo, quei resoconti. Poche parole, far sapere che lui era presente per significare tutto. Ritornavano a Roma le reliquie di San Domenico? In prima fila nella messa solenne c’era lui, Sbarretti. Si battezzava la nipotina di un porporato? Sbarretti era segnalato tra chi era seduto sui primi banchi della chiesa. Moriva qualche cardinale? Sbarretti era tra chi aveva reso visita alla salma. Morì il papa Pio XI?
“Alle sette di sera è arrivato il cardinale Sbarretti”. E quando si riunì il conclave per eleggere il nuovo papa, Sbarretti che aveva ormai più di ottant’anni, era il secondo della lista dei componenti del sacro collegio stilata secondo l’anzianità di nomina, e subito s’informava che lui, in quei giorni d’isolamento dei porporati dal mondo allo scopo di ben ponderare, avrebbe dimorato nella celletta numero 34.

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Il cardinale Sbarretti alla cascata delle Marmore

Donato Raffaele Sbarretti Tazza era nato a Montefranco, in provincia di Terni, nel novembre 1856. Montefranco di Spoleto, aggiungevano nelle biografie ufficiali i cronisti negli anni Trenta del secolo scorso, quando ne riferivano i movimenti o, meglio, le presenze. Perché Montefranco fa appunto parte della diocesi di Spoleto. E a Spoleto, all’età di ventitré anni, Donato fu ordinato prete.
Aveva seguito le orme dello zio, Enea, anch’egli cardinale, spoletino (lui pure di nascita oltre che di diocesi) di cui si parlò con un certo interesse quando fu proposto, nel 1877, per la porpora: aveva fama di un prete riformatore, cui sarebbe capitato – addirittura – di entrare in contatto in una qualche maniera con Ugo Bassi il prete rivoluzionario e repubblicano compagno di Giuseppe Garibaldi. Un dubbio, ma bastava perché i gesuiti storcessero la bocca. Donato, non corse mai rischi del genere. E quando morì per un improvviso attacco cardiaco la notte tra il 30 marzo e il Primo di aprile del 1939, l’interesse si accese principalmente attorno a chi gli sarebbe succeduto nei due prestigiosi incarichi che ricopriva: vescovo della diocesi suburbicaria della Sabina e Poggio Mirteto e segretario del Sant’Uffizio.
Due incarichi “pesanti”, cui Donato Sbarretti Tazza era arrivato dopo essere stato, a 34 anni, vescovo dell’Avana a Cuba, e poi in seguito arcivescovo di Gortyna, a Cipro, delegato apostolico nelle Filippine, arcivescovo di Efeso, delegato apostolico in Canada, segretario della congregazione per gli Affari Religiosi.
Cardinale lo diventò nel 1916 e fu Prefetto della Congregazione per il Concilio e quindi vescovo della Sabina e segretario della Congregazione del Sant’Uffizio.

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La lapide a ricordo dell’inaugurazione del restauro di S.Maria in Vescovio, in Sabina

Sempre abbottonati intorno alla sua figura, i giornali fecero un’eccezione per una disavventura che lo vide finire, nel 1934, in Tribunale citato da una signora che gli chiedeva quattrocentomila lire di danni morali e materiali. Tutto in conseguenza di un incidente stradale avvenuto sulla Flaminia, a Grottarossa. Un autista della curia finì contro un’altra vettura con un’”auto blu” del Vaticano. Il proprietario dell’auto risultava essere Sbarretti. Fu un incidente gravissimo: uno dei due occupanti dell’altra auto morì, l’altro si fece quattro mesi di ospedale.
Sbarretti nemmeno lo sapeva di essere il proprietario di quella macchina e quando prima il ferito poi la vedova dell’uomo che era deceduto lo portarono in Tribunale si appellò all’immunità diplomatica. I Patti Lateranensi, firmati quattro anni prima, consideravano il Vaticano come tutti gli stati esteri. Il giudice, però, l’immunità a Sbarretti gliela negò perché – sentenziò – essa può essere riconosciuta solo ai capi di Stato, ai sovrani e loro ufficiali rappresentanti. E quindi le cause si potevano fare. Come finirono non è al momento noto, ma è probabile che si sia trovato l’accordo evitando l’udienza.
Il cardinale Sbarretti riposa ora a Montefranco nella chiesa parrocchiale, dove la salma fu trasferita subito dopo i funerali solenni celebrati a Roma nella chiesa di Sant’Andrea nella Valle. Fu lui a consacrare la chiesetta costruita a Collestatte Piano a fianco delle abitazioni ricavate dall’ex stabilimento della Carburo di Calcio.

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