I volontari di Pescecotto fecero tremare la Borsa di Parigi

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Il casale di Pescecotto, un monumento in abbandono

Erano 106 i volontari. Partiti da Terni, gonfi di speranze, alla volta di Roma. Non fecero che pochi chilometri. I Granatieri del Re di Sardegna, i soldati dello Stato Italiano, li bloccarono tra Magliano e Fara Sabina e li “convinsero” a desistere. I capi finirono in carcere. Tra essi Pietro Faustini, “Leonida”, che era stato capo dei Carbonari ternani. Aveva 42 anni, Faustini, nel 1867.

Ed era già un “anziano” tra coloro che si erano battuti, ed ancora continuavano a farlo, per costruire una nuova Italia, un’Italia unita. Già nel 1849 fu tra i protagonisti nella breve stagione della Repubblica Romana. Fu allora che divenne amico di Giuseppe Garibaldi: «Sebbene non fosse effettivamente nominato ufficiale, giacché mai ne dimostrò il desiderio, pure per la di lui ammirabile abnegazione e il disinteressato patriottismo lo si teneva in molto conto – scrisse di Faustini il Generale –  e prova ne sia che lo si volle dal Triumvirato distinguere, affidandogli sempre delicate ed importanti missioni, fra le quali la non indifferente di dirigere nel 1849 le fortificazioni di Roma»..
Caduta la Repubblica Romana, il giovane Pietro Faustini tornò a Terni. E non si arrese. Continuando ad essere punto di riferimento per tutti i cospiratori della sua zona. Dopo la proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861, Terni – città di frontiera – fu centro logistico importante per tutte le spedizioni verso Roma, al fine di sottrarla al Papato. E quando il “Centro di insurrezione” operante a Roma decise di passare all’azione, fu su Terni e Pietro Faustini che contò.
La situazione era complicata a causa dell’accordo a suo tempo raggiunto tra i governi italiano e francese. L’esercito regio era divenuto il garante della difesa di Roma e del Papato. Solo in caso di insurrezione a Roma l’Italia non sarebbe intervenuta. Era quindi necessario far sì che la sollevazione “spontanea” avesse luogo. E per questo il “Centro di insurrezione” sollecitava Garibaldi a darsi da fare, organizzando spedizioni che avrebbero acceso le micce tra i rivoluzionari romani.
Il 1867 fu l’anno del tentativo finito male a Mentana. L’ultimo tentativo dei garibaldini di liberare Roma.
Quando quei 106 volontari misero in atto il loro tentativo, però, Mentana era ancora di là da venire e le speranze, l’entusiasmo erano alti. Il concentramento avvenne a Terni, e fu proprio Faustini ad esserne il principale organizzatore. Si partì da Pescecotto, una villa di campagna della famiglia dei Faustini, vicina al fiume Nera. Si partì con alcune barche. Erano da poco sbarcati quei volontari quando furono bloccati dai granatieri di Sardegna. Molti dei volontari non riuscirono a fuggire e furono arrestati.
Tanto sacrificio per ottenere poco, sembrò. La notizia non ebbe nemmeno il dovuto risalto, giusto quattro righe sulla Gazzetta Piemontese: «Circa duecento giovani armati hanno tentato di passare la frontiera pontificia. Quarantasette furono arrestati e gli altri si sbandarono inseguiti dalla truppa. La tranquillità venne ristabilita al confine». Un fatterello, una scaramuccia e niente di più. Ma il giorno dopo la questione si complicò, perché i “moti  di Terni” diventarono argomento di polemica politica. Il governo di Urbano Rattazzi era in carica da un paio di mesi e ci fu chi sostenne l’ipotesi che l’azione insurrezionale facesse parte di una manovra ordita dai seguaci del barone Bettino Ricasoli, che aveva guidato il precedente governo. Si trattava, in pratica, di creare difficoltà nei rapporti col governo francese. Ed in effetti, anche sull’onda della notizia del tentativo insurrezionale, la borsa di Parigi registrò una sia pur lieve flessione.  Fu il giornale “L’Italie” (che era in lingua francese ma era edito a Firenze, in quel periodo capitale d’Italia) che approfondì i particolari della spedizione: «L’assembramento dei giovani avvenne nel bosco di Configni: erano circa 170; li comandava un tale Perelli di Milano. Eravi un luogotenente e un trombettiere ed una bandiera tricolore…Alcuni distaccamenti di truppe furono spediti ad inseguire il piccolo drappello… Gli inseguiti, accortisi, affettarono la marcia ed arrivarono a Farfa in numero di cento. Furono raggiunti al passo di corsa, 53 vennero arrestati e gli altri dispersi. Le truppe raccolsero 63 fucili e 100 cartucce». Armi, quelle degli insorti, che , scrisse la Gazzetta d’Italia, erano state «distribuite agli insorti da tale Faustini che – specificò il giornale – si lamenta di essere stato ingannato».
Faustini fu arrestato, incarcerato nella rocca di Narni e da qui trasferito a Bologna e poi a Firenze per il processo. Fu assolto. Ma scese di nuovo in azione poco tempo dopo.

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