1834, quel medico rivoluzionario che sobillava la gente di Città di Castello

città di castello risorgimento

Il contegno di Giuseppe Ricci, medico di Città di Castello, era “insolente”. Ricci se la prendeva troppo spesso col “Governo e suoi Ministri” e per di più c’era il sospetto “che Il Ricci sia stato alquanto favorito”, come dimostrava “l’incarto” a suo carico. Cosicché la Direzione di Polizia di Perugia, il 23 ottobre 1834 si decise a segnalare quel medico facinoroso, che aveva partecipato attivamente ai moti del 1830-31 al Governatore di Roma.

Si aprì così una vicenda abbastanza complicata che vide coinvolti un ispettore di polizia e un brigadiere dei carabinieri, i quali passarono un brutto quarto d’ora. Esaminato “l’incarto” il governatore generale rispose al delegato apostolico (capo della polizia) di Perugia: “Gli atti dimostrano che il dottor Giuseppe Ricci di Città di Castello è un accanito nemico del Governo Pontificio ed è un audace ed ingiusto censore delle operazioni che si fanno dai rappresentanti del Governo medesimo”. “Ho rilevato con meraviglia – proseguiva il Governatore di Roma – che quell’ispettore di polizia Fabrizio Coppa ha cercato di scusarlo o almeno di mitigare l’irruente contegno del Ricci, lo che certamente non gli fa onore; e che altrettanto si è praticato dal Brigadiere dei Carabinieri.”.

Nella pratica che il Governatore si trovò ad esaminare c’era anche un foglio con alcuni versi scritti a mano il cui sentore faceva sorgere il dubbio che potesse essere “di carattere dell’anzidetto Ricci” per cui si invitava a disporre che Ricci fosse “sottoposto ad esame, facendogli sul principio di esso scrivere più linee a dettatura del processante, onde col mezzo di periti calligrafi rilevare poi se il carattere incerto abbia alcuna simiglianza con quello del ripetuto Ricci”.

Passato più di un mese, il delegato di Perugia rilevava che la “perizia calligrafa sembra non possa costituire prova bastante”, per cui, intanto,  invece di perdersi in lungaggini processuali e “per dare un termine all’incamminata processura la quale, a mio credere, non protrebbe fornire e concludere alcun’altra migliore notizia di quelle ottenute” si proponeva che nel dubbio “venisse costui sottoposto per un discreto tempo ad una prigionia da espiarsi anche, se si trovasse conveniente, nella propria casa”.

Il governatore concordò e si procedette. Ma ben presto, a metà dicembre del 1834, il “carcere domiciliare” diventò “carcere formale”, avendo lo stesso delegato di Perugia deciso di aggravare la pena in quanto Giuseppe Ricci continuava nel suo comportamenti. La decisione fu infatti motivata “con la gravissima circostanza ch’egli si fe’ lecito la sera del 3 dicembre di somministrare in una nuova accademia di poesia aull’argomento della Morte de’Maccabei il malizioso e imprudente intercalare: Cento Stragi e cento morti/ siamo pronti a scatenare”.

Le associazioni culturali erano allora strumento di diffusione di idee liberali e rivoluzionarie, specie dopo la repressione dei moti del 1831, nel corso dei quali a Città di Castello, Ricci fu uno dei protagonisti entrando a far parte del governo provvisorio sorto a Città di Castello. Negli anni successivi, Ricci, fu indicato tra gli appartamenti alla Giovine Italia di Mazzini.

PER SAPERNE DI PIU’

Alvaro Tacchini – Antonella Lignani, “Il Risorgimento a Città di Castello” (Petruzzi Editore, Città di Castello 2010).

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