Solo che, a quanto sembra, Girolamo era considerato repubblicano, e ciò mal di addiceva alla presidenza di una Provincia che era a maggioranza monarchica.
Il primo attacco fu portato da tre consiglieri della maggioranza (Michelangelo Bonelli, Emilio Uccelli e Lorenzo Donati) proprio per protesta contro l’elezione di un uomo politico che “non ha le stese radici elettorali e principi [della maggioranza], ed ha sempre mostrato idee ed atteggiamenti ben diversi dalla maggioranza e dal presidente Buffetti, specie nell’ultima lotta politica nel collegio Foligno-Gubbio”. Così interveniva nella polemica La Gazzetta di Foligno, giornale clericale, che era spalleggiato da un altro periodico cattolico-moderato di Gubbio che si chiamava L’Umbria. Anche Il Giornale d’Italia, comunque, intervenne pubblicando un’intervista proprio a Girolami: “Repubblicano lo ero in gioventù – spiegava – e mai radicale”. E aggiungeva che bastava guardare ai suoi comportamenti per giustificare la sua fede monarchica. Intanto, il presidente del consiglio provinciale, Salvatore Fratellini, aveva invitato i tre dimissionari a incontrarsi con Girolami per spiegarsi. Il suo intento pacificatore fu premiato. Le dimissioni furono ritirate, mentre L’Umbria, rispondeva all’intervista di Girolami, riferendo che i più arrabbiati con lui erano “i radicali e tutti coloro che avevano insieme a Girolami appoggiato l’elezione in parlamento di Francesco Fazi”, che era appunto un Radicale. Girolami “vuole accaparrarsi di voti clerico-moderati perché ha già deciso di candidarsi alle politiche nel collegio di Foligno –Gubbio”.
E via accusando, da una parte e dell’altra. Anche allora la polemica non portò a niente: Girolami restò presidente fino al termine del mandato che scadeva nel 1919, quando ci furono le elezioni poltiche alle quale fu in effetti candidato nella lista Liberal-Democratica che prese 3 deputati (vinsero largamente i socialisti): Romeo Gallenga, Augusto Ciuffelli, Giovanni Amici. Girolami no.