Autosole: il naufragio delle rivendicazioni umbre

La discussione, ormai, andava avanti da sei anni. Da quando cioè apparve chiaro che l’Autostrada del Sole sarebbe diventata una realtà e che il tracciato previsto avrebbe praticamente tagliato fuori l’Umbria, lambita soltanto dalla nuova arteria.
Ormai, nel 1961, l’Autosole era bell’e fatta. Mancava solo il tratto Firenze–Roma.

L’Umbria doveva forzare la mano e decise di scendere in campo compatta per rivendicare che la scelta del tracciato che la interessava fosse compiuta e soprattutto fosse stata quella caldeggiata con fervore specialmente nel Perugino. C’era in sostanza da scegliere che l’Autostrada del Sole giunta nella zona di Sinalunga, deviasse decisamente verso il Trasimeno, proseguisse lambendo Marsciano, scendesse fino a passare tra Terni e Narni e quindi inoltrandosi nella Sabina arrivasse a Fiano Romano. La proposta era nota come “Tracciato Umbro–Sabino” che andava a fare da contraltare a quello già praticamente scelto, lo stesso successivamente realizzato e che passa per Chiusi, Orvieto e Orte.

Sabino Autostrada del Sole
I due tracciati

A Perugia, dove s’era costituito un nutrito, “pesante” ed agguerrito comitato per il tracciato umbro sabino, si decise di passare all’azione, e per l’11 gennaio 1961, un mercoledì, si proclamò lo sciopero generale; si organizzarono manifestazioni, parate e cortei di automobili e camion.
Inutile chiedersi com’è andata a finire, dato che l’Autostrada del Sole sta lì e l’itinerario da Incisa Valdarno a Fiano Romano è sotto gli occhi di tutti. Quel che resta da domandarsi è, casomai, perché un tale spiegamento di forze, una determinazione così inusuale, non abbia sortito effetto alcuno.
Certo è che se determinazione, spiegamento di forze e partecipazione allo sciopero furono notevoli, altrettanto non si può dire della compattezza. Se a Perugia ci si mostrava particolarmente decisi, non altrettanto si poteva dire di Terni che non mise in campo la solita energia contestataria; a Foligno, il giorno prima dello sciopero, il consiglio comunale approvò un ordine del giorno di appoggio alla presa di posizione del Comitato, ma metteva altra carne al fuoco ricordando che c’era da spingere anche l’”Autostrada dei due mari”, di cui si parlava già da tempo e che oggi, più di mezzo secolo dopo, non esiste ancora.
Ciò che maggiormente incrinò il fronte umbro fu la polemica esplosa proprio il giorno prima dello sciopero. Prese le mosse da un manifesto della Cgil, in cui si affiancavano rivendicazioni sindacali generali nei confronti del governo democristiano, a quelle specifiche del problema autostrada. La Dc perugina reagì, accusando il Partito Comunista di opportunismo: “Del tracciato umbro sabino dell’autostrada – tuonarono i maggiorenti della Dc – ai comunisti non importa un granché. Loro aderiscono alla protesta solo perché è per loro un’occasione per fare propaganda antigovernativa”.
Gli effetti non furono leggeri. La sera prima dello sciopero la Cisl ritirò la propria adesione, mentre il presidente del Comitato interregionale per il tracciato umbro–sabino, Vincenzo Parlavecchio, si dimise con la motivazione che si era “via via arrivati a caldeggiare motivi polemici estranei al problema”, ed individuando a tale proposito “pesanti responsabilità politiche” di forze “le quali tendono a colpire bersagli polemici che non hanno niente a che vedere con gli interessi dell’Umbria”.
Il giorno dopo lo sciopero, comunque, un documento che chiedeva il tracciato umbro sabino fu inutilmente consegnato al ministro dei Lavori Pubblici, Benigno Zaccagnini.

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