Lite per una partita a dama: ammazza l’amico

Quadro di Boilly giocatori di dama
L.L.Boilly, “Giocatori di dama” (part.)

 

Un diverbio per una partita a dama, E ci scappò il morto. Era il tardo pomeriggio del 4 febbraio 1959, un mercoledì. Un giorno di poco lavoro per Alfredo, barbiere calabrese trasferitosi a Terni già da qualche anno. La barbieria l’aveva aperta in periferia, nella zona di San Valentino, Le cose andavano bene: una buona clientela, la giornata che passava in fretta senza pericolo di annoiarsi, anche c’erano sempre degli amici. I bar e le barbierie erano luoghi di incontro, per fare due chiacchiere, parlando di sport, di lavoro, dei fatti del giorno… E poi lì dal barbiere Alfredo c’era il torneo di dama. L’avevano organizzato proprio tra amici stilando anche un regolamento al fine di evitare discussioni. Per metterci un po’ di pepe avevano anche stabilio che chi perddeva pagava venti lire, una cifra era irrisoria, il prezzo di un caffè.
Quel giorno giocarono Alfredo e Luigi, anch’egli calabrese, a Terni per lavoro. Vinse Alfredo, ma Luigi s’impuntò: “No, secondo regolamento la partita è pari”. La discussione diventò animata, fino a che Luigi se ne andò, sprezzante: “Basta – disse uscendo – se continuo a discutere per venti lire ci rimetto di reputazione”. “Parla di reputazione proprio lui, con quella sorella che si ritrova”, commentò Alfredo non appena l’altro era uscito.

La partita a dama diventa un duello

Un brutto commento. Ci fu chi si prese la briga di andare a riferire. Luigi stava a tavola, a cena con la moglie e i figli, ma andò immediatamente su tutte le furie. Smise di mangiare e furente si diresse alla barbieria.  Alfredo stava tagliando i capelli ad un cliente. Luigi entrò come una furia: “Vieni fuori e vediamo se  ripeti quel che hai detto”, lo apostrofò. “Non vedi che ho da fare? Non ho voglia di litigare”, replicò Alfredo spingendo Luigi fuori del negozio e chiudendo la porta che subito Luigi cominciò a prendere a calci. “Apri”, gridava. La porta cedette e si spalancò sbattendo addosso ad Alfredo. Le forbici gli caddero e mentre si piegava a raccoglierle un altro calcione di Luigi fece sì che la porta lo colpisse di nuovo, in testa.
Fu un attimo: Alfredo che aveva già ripreso in mano le forbici colpì. Una pugnalata secca, violenta.  Al cuore. Luigi morì nel giro di pochi minuti. Alfredo fuggì verso casa. “E’ successo un macello” disse, sconvolto, alla moglie. Poi prese quattro cose e scappò, cercando di far perdere le proprie tracce. Non pensava – riferì poi – che Luigi fosse morto.
Il processo per omcidio volontario aggravato si celebrò davanti alla Corte d’Assise di Terni e si concluse nel marzo del 1960: il barbiere fu condannato a 17 anni di reclusione. Niente legittima difesa, come chiedeva il suo difensore, ma la Corte gli riconobbe l’attenuante della provocazione. In appello gli scontarono cinque anni di carcere.

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