Fu un esordio non privo di qualche difficoltà quello di Mastro Titta: “Non trovai alcuno che volesse vendermi il legname necessario per rizzare la forca – racconta in un suo libro di memorie – e dovetti andar la notte a sfondare la porta d’un magazzino per provvedermelo. Ma non per questo mi scoraggiai e in quattr’ore di lavoro assiduo ebbi preparata la brava forca e le quattro scale che mi servivano”.
E Gentilucci? Nel frattempo fu rasato, vestito con abiti nuovi. Si voleva dare una particolare solennità all’esecuzione di quel giovane che se l’era presa con preti e frati. Due ore prima dell’alba lo svegliarono: doveva assistere alla messa. Il confessore gli dette l’assoluzione in “articulo mortis” cosicché poteva morire contento perché – gli spiegò – sarebbe andato in paradiso. Sul luogo dell’esecuzione, una spianata dentro le mura di Foligno, fu accompagnato da guardie in grande uniforme e da un corteo di penitenti.
Legatagli la corda al collo “con un colpo magistrale lo lanciai nel vuoto e gli saltai sulle spalle, strangolandolo perfettamente – si compiace Mastro Titta – e facendo eseguire alla salma del paziente parecchie eleganti piroette”. Un uomo di “spettacolo”, insomma, il boia, che non dimenticò si eseguire fino in fondo la sentenza di condanna a morte per impiccagione e squartamento.
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Per saperne di più: “Mastro Titta, il boia di Roma: Memorie di un carnefice scritte da lui stesso”. Roma 1891. Ed. Perino. NOTA. Le memorie del boia pontificio furono pubblicate in dispense, e rimangono molti dubbi sulla gran parte dei particolari riferiti, spesso romanzati. . vai al blog ⇒