G.G.Belli, il poeta e la moglie ternana e ricca

Aveva 22 anni Giuseppe Gioachino Belli quando affascinò “Mariuccia”. Valentino Conti, il padre di Maria, era ternano. S’era trasferito a Roma per lavoro, essendo avvocato curiale. Nel 1813, quando rimase “fulminata” dal fascino di Gioachino, Maria s’era da poco separata dal marito, sposato un paio d’anni prima.

Non era stata un’unione serena quella con Giacomo Pichi, rampollo d’una antica famiglia marchigiana. Maria era rimasta incinta, ma il bambino era nato morto. Giulio aveva fama di godereccio ed in effetti in breve tempo aveva dilapidato il patrimonio della sua famiglia ed aveva cominciato a fare la stessa cosa con quello di Maria. Ben presto, però, si ammalò e cadde in stato di demenza.

Belli
Via Garibaldi a Terni. L’angolo che sporge, a sin., è del palazzetto che ospitò il Belli. Al piano stradale aveva sede l’Osteria del Giglio

Tutto a causa, scrisse in una lettera Maria, di “un fiero spavento avuto in casa” di una “birbona”, una “donnaccia che ha frequentato per otto anni” e che “lo ha ridotto all’estrema miseria”. Maria s’era decisa a separarsi da quell’uomo chiedendo la restituzione della dote e mettendo al sicuro il proprio patrimonio, ch’era considerato consistente e che comprendeva non pochi immobili a Terni. Cosicché, quando la relazione tra lei ed il giovane Giuseppe Gioachino, uno brillante e piacente, i commenti non furono certo benevoli. Anche perché Maria non solo era più anziana di 13 anni, ma non era nemmeno una gran bellezza. Quando, nel 1816, si sposarono a Roma si disse che il giovane poeta “aveva appiccato il cappello”. Tanto più che Giuseppe Gioachino in abbondanza aveva solo i nomi di battesimo, ma per il resto era ricco solo di fascino e savoir faire. Giulio Pichi, per parte sua, aveva reso tutto più facile pensando bene di lasciare il mondo terreno, rendendo vedova Maria.
Non da Giulio, quindi, il marito “ripudiato”, vennero i bastoni tra le ruote. Ben altre, infatti, furono le difficoltà che Maria Conti, donna coraggiosa e risoluta, dovette affrontare per coronare il suo sogno d’amore. Sfidò tutti fuggendo col suo amato e sopportò con fierezza il “disonore” di una gravidanza “fuori dl matrimonio”, almeno fino a quando non si potette procedere a “giuste nozze”.
Di fronte al coraggio e alla determinazione della sua “Mariuccia”, Gioachino non rimase insensibile e, come sostiene Massimo Vignali, uno tra i piu accurati biografi del Belli, nutrì per sua moglie ben di piu che un affetto dettato solo dalla riconoscenza. A riprova che non si trattò solo di “appiccare il cappello” c’è il fatto che il patrimonio di “Mariuccia” a conti fatti risultò assai meno ricca di quel che tutti ritenevano. Il patrimonio lo aveva in gran parte dissipato Giulio, anche se comunque, restavano diverse proprietà a Roma e soprattutto a Terni. Proprio al giovane marito Mariuccia affidò la cura dei beni fuori di Roma, ossia quelli ternani: un caseggiato con terreno a Piedimonte, alcuni appezzamenti in zona San Martino e al Monumento (nei pressi del cimitero), a Cesi (la Caprareccia e Palombara) e San Gemini. Oltre, ovviamente, al palazzo “di citta” in quella che oggi è via Fratini e che allora si chiamava via delle Carrozze, come spiega un’epigrafe apposta in loco ad iniziativa dell’Istess, l’Istituto di studi teologici e sociali, cui si deve anche la pubblicazione di uno studio di Pompeo De Angelis sui legami tra il poeta e Terni.
Belli, pur se non aveva “appiccato il cappello” aveva di che essere grato a “Mariuccia”, la quale si preoccupava costantemente di proteggerlo e, per non farlo sentire come un uomo che viveva sulle spalle della moglie, ci mise del suo èperché fosse assunto all’Ufficio del Bollo e del Registro di Roma. Un lavoro, ma che gli consentiva di trovare il tempo per curare gli interessi di “Mariuccia” – diventati anche suoi – a Terni, dove dimorò spesso e non sempe per brevi periodi. Nell’autunno del 1827 Belli trascorse un intero mese a Terni: c’erano canoni di affitto dei terreni da incassare; si voleva vendere la tenuta di Piedimonte bisognosa di interventi di ristrutturazione ritenuti troppo onerosi; c’era da dirimere un contenzioso con la vedova Magalotti. In quel mese Belli, non abitò nel palazzo di via delle Carrozze, ma a casa di certi cugini di “Mariuccia”, la famiglia Vannuzzi. Un palazzetto, in quella che oggi è via Garibaldi. Egli, comunque, preferiva passare piu tempo fuori casa, magari nella vicina “Osteria del Giglio” nominata in uno dei pochissimi sonetti in cui si parla di Terni. Una preferenza dovuta anche ad un fatto che raccontò in una lettera a Mariuccia: “Sappi in segreto che qui si sta in un abisso: neppure si pranza uniti: si va colle mani addosso fra cognate: e le cugine debbono andare a Torre Orsina per qualche tempo, al quale effetto non aspettano che la mia partenza. E’ un inferno”.
Fine dicitore, appassionato di letteratura e di storia, sul finire degli anni Venti il Belli cominciò a scrivere sonetti
in romanesco. E diversi ne sfornò proprio durante i suoi soggiorni ternani: una sessantina. Raramente però Terni è nominata nei circa 2.300 sonetti che costituiscono la sua opera. Accade in “E se magna”, che è del 1832, scritto in occasione della nomina a cardinale di Ludovico Gazzoli; in “Li ciarvelli de li signori” (1834), nel quale si criticano coloro che “…viengheno apposta / da quer culibbus-munni de paesi, / nun antro che pe’ vede in certi mesi / la Cascata der Marmoro…” manco che “…in cammio d’acqua, scaricasse vino”; e in “Certe parole latine”, del 1836, in cui Belli racconta di “Quanno annai cor padron de zi’ Pacifica / a Terni indove er marmo se pietrifica”.
“Mariuccia” morì nel 1837. Il patrimonio ternano finì ben presto. Bellì si distaccò dalla città. Lo sconforto fu grande, tanto che voleva distruggere tutti i sonetti. Li salvò il suo amico, il canonico Vincenzo Tizzani, parroco del rione Monti, che, manco a farlo apposta, nel 1843 fu nominato vescovo di Terni. Protestò Belli contro la decisione del papa. Con un sonetto, ovviamente: “L’Urion de Monti”. Ed accusa il papa per aver “voluto fa vescovo er Calonico Tizzani / senza senticce prima un accidente / li su’ poveri fiji monticiani”; “bisognerà abbozza’ ”, continua, ma “er Zanto Padre ce l’ha fatta grossa! / E poteranno di sempr’ar Governo / li Monti, che j’e tocca una gran sbiossa, / e li Ternani, ch’hanno vinto un terno”.
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Per saperne di più
 -Pompeo De Angelis, “Tizzani e Belli a Terni”. 
Istess, Terni 1996
 -Pompeo De Angelis, “Giuseppe Gioachino
 Belli a Terni”,  Comune di Terni, 1996
 -Giuseppe Gioachino Belli, “Lettere 
Inedite A Mariuccia”, a cura di 
Massimo Vignali, Aracne Roma, 2003

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