San Mamiliano, borgo di Templari e siciliani

La piazzetta con la colonna di Jacopo Siculo
La piazzetta con la colonna di Jacopo Siculo


A San Mamiliano si arriva
dalla strada statale Valnerina, voltando per Montefranco. Superato il paese e dirigendosi verso la Flaminia che porta a Spoleto, si trova, sulla destra, l’indicazione: San Mamiliano 5 km. Un “castello di poggio medievale” – viene definito nelle guide turistiche – il cui pregio più importante è aver mantenuto quasi intatta la sua tipologia. Tra i monti, ad oltre 600 metri di altezza, è frazione di Ferentillo: ai tempi, fu una rocca, baluardo a difesa dell’abbazia di San Pietro in Valle.
Arrivando, è necessario fermarsi fuori porta. Un piazzale, un muretto di protezione. Un paio di automobili parcheggiate. Un signore coi capelli bianchi si gode un raggio di sole autunnale. «Se sse sta bbene qui? Ah, la tranquillità nun manca – esordisce – saremo ‘na ventina d’abbitanti. Io so’ tornato che sso’ quasi tre anni… Lavoravo a Roma. C’avevo casa qui… Devo da dì la verità? Non vedo l’ora d’annammene».
Un piccolo borgo. Nessun negozio. Solo muri seppur antichi. Evidenti i segni di una ristrutturazione generalizzata delle case, e dei vicoli acciottolati o a scalette.
Da un po’ di tempo si parla di San Mamiliano. «Ah sì? E cche dicono?». Dicono che qui c’è un tesoro, un tesoro dei Templari. «Boooh… Sì, dentro a la chiesa c’è quarcosa de valore… ‘n calice d’oro… ‘N ber dipinto… ‘Na vorta, forse c’era de ppiù, ma è sparita parecchia robba». L’uomo, anziano, abita a San Mamiliano. Da Roma è tornato “ar paesello” dopo il pensionamento.
Di quella roba mancata misteriosamente dalla chiesa si parlò parecchio. Una quarantina di anni fa un parroco venne a trovarsi nei guai per la vendita di qualcosa che faceva gola a qualche “nuovo ricco” romano. A lui, invece, serviva di trovare i soldi necessari a fare i lavori per tenere in piedi proprio quella chiesa, ché minacciava di venir giù.
E’ la chiesa di San Biagio. Eretta nel 1431, c’è scolpito sull’architrave del portale d’ingresso; proprio in cima all’abitato, sulle strutture portanti dell’antica fortezza. «Ce vada – raccomanda l’ex romano – C’è dda fa’ ‘n po’ de salita, ma si ttrova la porta aperta ne vale la pena».
E via allora, in salita, lungo i vicoli. Le case sono tutte ristrutturate, ma chiuse. Dove saranno quei venti abitanti? Una signora, giovane, occhia dalla finestra, e chiude subito. Si sale, col fiatone. Al limite dell’abitato le case sono state lasciate crollare. Qualcuna si ostina a reggersi nonostante sia evidente il bisogno di interventi. “Vota per”: la scritta si intravede su un muro bianco, ma cogli anni la sigla del partito si è (o è stata) sbiancata. La porta di una di quelle case mezze dirute è stata sbarrata con una tavola inchiodata di traverso e sopra c’è un cartello arancione: “Vendesi”. Ancora due passi e si arriva ad una piazzetta-gioiello. Ben ristrutturata. E’ dedicata a Jacopo Siculo. Pochi metri quadrati. In mezzo un pozzo con una colonna. E’ importante quella colonna, perché c’è scolpito il primo stemma di Ferentillo, quello delle origini. Una striscia diagonale (il fiume Nera), un giglio per ricordare (forse) i legami dei signori ferentillesi, i Cybo, con Firenze; le chiavi, a significare che lì, comunque, ormai chi comandava era il papa. Ma anche una croce patente, che poi sarebbe quella che i Templari portavano ricamata in rosso sulla tunica bianca che indossavano a ricoprire la maglia di ferro da guerrieri. E poi, sempre scolpita sulla colonna, la testa di un saraceno.
Da lì forse l’aggancio per chi sostiene che i Templari in questa zona erano praticamente di casa. Ma di leggende sui Templari ce ne sono… C’è anche chi li ha “portati” in Valnerina alla ricerca del Santo Graal…
Jacopo Siculo, comunque, a San Mamiliano c’è stato davvero. E’ suo il dipinto di valore che sta nella chiesa: «Lo stanno a restaura’», spiega l’ex romano. Per arrivare alla chiesa dalla piazzetta c’è una scalinata stretta tra due muri. Così ripida che il fiatone viene già solo a guardarla. Su, però, c’è il sagrato, un terrazzone da cui si vede mezza Valnerina. Vale la pena sacrificarsi un po’.
E Jacopo Siculo com’è capitato qui? Intanto visse a Spoleto e lavorò ad Arrone e Ferentillo. Poi il suo vero nome era Giacomo Santoro, di Giuliana, vicino Palermo. E di Palermo era anche San Mamiliano che in Valnerina però non ci stette mai, tanto meno nel paesetto che oggi porta il suo nome. San Mamiliano: il santo morto all’isola di Montecristo. Forse Jacopo Siculo, che ne conosceva origini e storia, volle rendere omaggio ad un suo conterraneo.

Ottobre 2012

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