Ovvio che scattasse un’inchiesta che portò a scoprire l’autore del “misfatto”: si trattava di un caporale in sostanza, napoletano: Salvatore Mandolino.
Il soldato sulle prime negò, poi ammise che sì, quella frase l’aveva scritta lui. E così finì sotto processo e rinviato a giudizio davanti al Tribunale militare di Roma per rispondere di insubordinazione con ingiuria verso un superiore assente.
In udienza, il 13 agosto 1909, l’avvocato fiscale (il Pm) chiese la condanna di Salvatore ad un anno di reclusione, ma il Tribunale che valutò che si trattasse di semplice ingiuria. Ragion per cui il soldato fu condannato a due mesi di carcere (di cui uno già scontato) col beneficio della non iscrizione nel casellario giudiziale.