Per proteggerla dal dilavamento delle piogge s’era realizzata, subito sopra il dipinto, un piccola tettoia. Ma non bastava. Serviva un qualcosa di più efficace: una chiesa. Per mettere insieme la somma necessaria, sarebbe bastato che ciascuno dei tanti devoti offrisse quel che poteva. Così fu. Niente di pretenzioso, ma si costruì una cappelletta di venti piedi di lunghezza e 18 di larghezza. Vale a dire che siccome il “piede ternano” era equivalente a 335 millimetri, la chiesa era, all’incirca, sette metri per sette.
Il culto della Madonna del Carmine continuava a crescere, e di pari passo crescevano offerte e donazioni, e perciò la Confraternita servì ad amministrare quei lasciti. Per prima cosa ci voleva una chiesa più capiente: i fedeli tanto numerosi non ci entravano in quella cappelletta sette per sette., Fu questo il momento storico in cui nacque la Chiesa del Carmine, quella ancor oggi esistente, incollata alle mura dell’Anfiteatro, che era già diruto e divenuto l’ orto del Vescovo.
I fondi non mancavano. Il dipinto fu distaccato dal muro e collocato al centro dell’altar maggiore. La chiesa alla fine dei lavori risultò piuttosto ricca di opere. I lavori durarono molti anni, sembrava non finissero mai: dalla prima metà del 1600 si andò avanti fino al 1700 ed oltre, tanto che un documento del 1783 specifica che il Comune di Terni concede alla Confraternita di utilizzare nella costruzione della chiesa del Carmine il materiale risultante dal parziale abbattimento delle mura cittadine. In quel periodo, infatti, esse furono rese più basse di circa la metà, ed il materiale di risulta era parecchio.
La confraternita, grazie alle donazioni, era nel frattempo diventata una potenza economica a Terni. Tanto che aggiunse ai propri compiti il soccorso a chi si trovava in difficoltà finanziaria: si buttò, in sostanza, nel settore del credito, diventando una sorta di Monte di Pietà e concedendo quelli che oggi si chiamano mutui fondiari . E di poco gli usi, in tal senso, si discostavano da quelli di oggi: le case costruite col prestito erogato dalla confraternita ne recavano infatti in facciata lo stemma. Per molti quello era uno stemma gentilizio, in realtà era un’ipoteca.
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