L’attentato di Malga Sasso e il sacrificio del ten. Petrucci

Franco Petrucci
Franco Petrucci

Cinquant’anni fa, il 26 settembre 1966, tutta Montecastrilli si stringeva attorno a alla famiglia Petrucci, per l’estremo saluto a Franco Petrucci, tenente della Guardia di Finanza morto in seguito all’attentato terroristico di Malga Sasso, che costò la vita anche ad altri due finanzieri. Una cerimonia toccante, una manifestazione di popolo ed insieme l’omaggio delle istituzioni locali, ad un giovane di 27 anni che aveva lasciato Montecastrilli per arruolarsi nella Guardia di Finanza. Due giorni prima, a Vipiteno, c’erano stati i solenni funerali di Stato.
Il tenente Petrucci morì vittima della guerra terroristica, durata decenni, messa in atto da forze che rivendicavano il ritorno dell’Alto Adige-Sud Tirolo all’Austria. Franco Petrucci era spirato all’ospedale di Vipiteno dopo un’agonia durata tredici giorni, in conseguenza delle ustioni riportate nell’attentato dinamitardo ad una casermetta, in quello che, allora, fu definito come il più grave degli attentati che si ripetevano con impressionante frequenza. Il bilancio immediato fu di due finanzieri morti (un sardo, Martino Cossu, ed un altoatesino, Eriberto Volgger) e tre feriti, uno dei quali – il tenente Petrucci – in gravissime condizioni.

Eriberto Voggler e Marino Cossu
Eriberto Voggler e Matrino Cossu

L’ufficiale era da poco giunto nella casermetta, quella mattina, quando alle 11 e 20 si verificò l’esplosione- Doveva compiere un’ispezione nell’acquartieramento dei finanzieri alpini a Malga Sasso, un edificio isolato, a 1800 metri di altezza, raggiungibile solo dopo un’ora di marcia dal Brennero.
Una notevole quantità di esplosivo era stata piazzata nella canna di uno dei quattro camini della caserma: L’esplosione, aggravata da quella di 52 delle sessanta bombe a mano custodite in un ufficio, fu devastante: la caserma fu praticamente disfatta. Rimase un mistero su cui gli inquiirenti si interrogarono a lungo, come fosse stato possibile per gli attentatori piazzare l’esplosivo sewnza essere visti, tenuto conto che l’edificio che ospitava i finanzieri era isolati, e al centro di una radura senza alberi, circondata da una recinzione di filo spinato e con cani da guardia.
L’organizzazione terroristica tirolese, di ispirazione neonazista, che successivamente rivendicò l’attentato, parlò di una vendetta per l’uccisione di un suo membro ucciso circa due anni in uno scontro con una pattuglia dei carabinieri, ma negli ambienti del governo italiano si sostenne l’ipotesi che l’attentato serviva a rendere torbide le acque di un rapporto difficile con le minoranze tedesche dell’Alto Adige. Un rapporto che si stava cercando di regolare con un accordo ufficiale che contemplava una serie di concessioni da parte dello Stato italiano e che era ormai prossimo ad essere definitivamente siglato.

Montecastrilli, la lapide per i caduti in guerra
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