Che fosse innamorato pazzo di quella donna lo sospettarono. Per la verità all’ospedale psichiatrico di Perugia ci era davvero stato ricoverato fino a qualche giorno prima, ma rimasero inspiegabili le cause per cui Ermenegildo M., 33 anni, all’improvviso estrasse dalla tasca una pistola e fece fuoco, uccidendola, contro Rina P., 30 anni, sposata e madre di tre bambini: poi si puntò la pistola alla tempia e fece fuoco di nuovo, ma non morì.
Il fatto avvenne il 20 giugno del 1955, a Monte Petriolo, una frazione di Perugia. Sia l’omicida che la sua vittima stavano lavorando alla mietitura di un campo di grano, quando improvvisamente scoppiò la tragedia.
Tra Ermenegildo e la famiglia di Rina, comunque, c’era stato un precedente increscioso: il giovane aveva accusato qualcuno dei parenti di Rina di avergli rubato il portafogli, che invece aveva soltanto smarrito tanto è vero che fu ritrovato alcuni giorni dopo. La questione finì con una denuncia per calunnia e lasciò un segno profondo nella psiche di Ermenegildo il quale dovette, per l’appunto, essere curato presso l’ospedale psichiatrico. Nelle tasche dell’omicida, ricoverato in fin di vita, furono trovate tre lettere che, spiegava il cronista, “spiegheranno certamente i motivi che hanno spinto Ermenegildo M. a macchiarsi del delitto. Non è dato sapere – aggiungeva – se egli abbia ucciso perché follemente innamorato della donna”.