Perugia, i preti vendono altare Luigi XV a un antiquario

Pasqua  era passata giusto da una settimana. Per gli agenti del dazio il lavoro era finalmente un po’ calato, dopo che per alcuni giorni avevano avuto il loro da fare per registrare il transito di camion carichi di colombe dolci e uova di cioccolato, verdure e soprattutto abbacchi. Era il destino di chi prestava servizio in una gabella alle porte della grande città, quella che era nel punto in cui la strada Flaminia stava per entrare in Roma.

Lì arrivarono, nel pomeriggio del 9 aprile 1959 due camion, OM, verde scuro. Il cassone era ricoperto da una spessa tela marrone. Alla gabella del dazio si pagava la tassa comunale, che variava, secondo le merci trasportate. «Che portate?», fu la domand di rito. «Tutta robba vecchia», rispose uno degli autisti. Bassino ma tarchiato, una quarantina d’anni, brizzolato. Il daziere fece un giro intorno ai camion e notò che una delle cordicelle che tenevano fermo il telone che ricopriva il cassone era sganciata: dall’apertura sporgeva un pezzo di un crocifisso. «E questo?», domandò. «Je l’ho ddetto, robba vecchia. De chiesa, ma sempre robba vecchia è». «Aprire tutto», ordinò il daziere.

La “robba vecchia” era, in pratica, un altare completo stile Luigi XV; candelabri e porta ceri d’argento; un  reliquario del Settecento che portava inciso il nome dell’artigiano che l’aveva cesellato; e tutta una serie di altri oggetti: da inginocchiatoi ad aspersori, da vasi di cristallo a statue di legno che raffiguravano angeli e santi : «Ah… robba vecchia? Qui ce sta ‘n tesoro! Artroché», esclamò il daziere. E cominciò un battibecco, fino a che il piccoletto brizzolato si dette una manata in fronte: «Mo’ che m’aricordo… C’ho ‘na lettera d’accompagno che m’hanno dato ar Domo de Peruggia. Mo la pijo».
La lettera, in effetti, era scritta su carta intestata con lo stemma del Capitolo del Duomo di Perugia, ed era fornita di tutti i timbri d’ordinanza. C’era spiegato che tutti quegli oggetti dovevano essere trasportati a Roma per essere sottoposti a restauro e che successivamente essi “dovevano ritornare a Perugia”.  «Se li preti hanno scritto che ‘ sta robba deve torna’ a Peruggia, è evidente che ci tornerà», conclusero insieme l’autista e il daziere. «Potete passare».

Finita la storia? No, perché comunque c’era chi s’era messo in allarme. Una macchina seguì i due camion nelle strade di Roma non si fermarono. Erano a Trastevere, davanti ad un negozio: “Arredamenti”, c’era scritto sull’insegna. Il titolare fu chiamato a fornire spiegazioni. «Ho acquistato tutta questa roba partecipando ad un’asta: ho presentato un’offerta in busta chiusa ed è risultato che ero quello che praticava le migliori condizioni. Quindi questa roba io l’ho regolarmente comprata». Nel 1959 era da poco nata la “moda” di arredare ville e case di campagna con mobili ed oggetti antichi. Si potevano così notare campanelle da sagrestia alla porta d’ingresso, mobili bar ricavati in un confessionale. Insomma, c’era mercato per quegli oggetti che si stavano consegnando al negozio di arredamenti di Trastevere.

A quel punto il piccoletto, raccontò. «Noi stavamo vicino Peruggia perché avevamo fatto ‘n trasporto – disse –. Stavamo a torna’ a Roma, era già sera. Ce fermò uno che disse de esse’ un omo de fiducia der signore che c’ha ‘sto negozio de Trastevere e che je serviva de porta’ a Roma n’po’ de robba che dovevamo carica’ su, al centro de Peruggia. Se semo accordati sul prezzo e semo annati a carica’».
In piazza del Duomo i due camion arrivarono a notte già avanzata.. Si aprì un portone e gli automezzi entrarono in un cortile. «Lì aspettammo quasi per tutta la notte». Alle cinque del mattino del 9 quando arrivarono – è il racconto degli autisti – due preti i quali, tra tanti oggetti indicavano quali erano da caricare sui camion». «Fate in fretta ma non fate rumore – si raccomandarono – perché la gente comincia a circolare e qui il comune è governato dalla sinistra. Potrebbe scapparci uno scandalo». Ma nessuno s’accorse di niente. «Du’ preti propio a mmodo – commentò il tarchiato – ‘gni vorta che passavono davanti all’altare s’inchinavono e se facevono ‘r segno d’a croce».

Il Capitolo spiegò, poi, che tutti quegli oggetti erano lasciti a favore di varie chiese che in qualche caso si trovavano ad avere problemi di spazio ed avevano perciò tutto inviato all’Arcivescovado, «che non sa che farci e quindi ha messo tutto in vendita».

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