Pietralunga 1910: impazzisce e uccide i suoi tre bambini

Pietralunga

Nell’immediatezza del fatto le notizie erano poche e imprecise. Ma quella accaduta a Pietralunga era una strage efferata: un padre uccise a colpi di roncola i tre figlioletti. Poi sparì. Accadde il 1 luglio del 1910, nella campagna della frazione di Umbertide. Una tragedia innescata dalla follia, si scoprì qualche giorno dopo, ma al momento era troppo il raccapriccio. L’uomo, Valentino Rosmini, 35 anni, era rimasto solo in casa coi tre figli – raccontavano le prime cronache – Amerigo, 7 anni; Rosa di 5 anni e Giovan Battista, 15 mesi. Li prese con sé e si avviò verso il bosco.

Fu la moglie a lanciare l’allarme: chiese ai vicini di aiutarla a cercare i tre figli e il marito. Per prima cosa si trovò una roncola, insanguinata. Duecento metri oltre c’erano i tre bambini. Uccisi con quella roncola. Le salme composte l’una a fianco all’altra. Un’atrocità che nessuno riusciva a spiegarsi. Valentino era scomparso.

Il giorno dopo si potettero accertare un po’ meglio i fatti. Francesca, la madre dei tre bambini e moglie di Valentino era uscita di casa al mattino presto. Era andata al battesimo del figlio di un parente e lei aveva rappresentato la sua famiglia al rito. Tornò a casa verso le 11, e non trovò nessuno. Subito si preoccupò e domandò ai vicini se avessero visto i bambini e il marito. “Li ha portati nel bosco, voleva che vedessero un nido”, le riferirono.

La donna si tranquillizzò, ma visto che le ore passavano e nessuno tornava decise di andare a cercarli. Fu lei, insieme ad un vicino, a scoprire la tragedia avvenuta. Svenne alla vista dei bambini morti. Chi l’aveva accompagnata nel bosco, sconvolto,  dette l’allarme. I carabinieri lo pensarono subito che li avesse uccisi il padre, ma dov’era ora Valentino? Probabilmente s’era ucciso, ma non si trovava il cadavere.

Poi, due ragazze, raccontarono di aver visto qualcuno acquattato dietro una quercia a qualche centinaio di metri dal luogo di ritrovamento dei corpi dei tre bambini. Non potettero distinguere chi fosse, ma certo era che, udite le grida di soccorso, se l’era data a gambe.

Le ricerche continuarono. L’ipotesi di un improvviso raptus di follia era la più accreditata: Valentino assassinati i propri figli forse si era tolta a sua volta la vita. O era scappato in provincia di Pesaro, che confina col territorio di Pietralunga. Ma poteva anche darsi che qualcun altro avesse trucidato sia i figli che il padre, occultando il cadavere dell’uomo in qualche anfratto o nelle acque dei numerosi stagni del bosco.

Non era così. Il giorno 4 luglio Valentino Rosmini si costituì ai carabinieri di Pietralunga. Era proprio lui quell’uomo acquattato dietro una quercia che si era dato alla fuga quando furono scoperti i tre cadaverini. Ma dopo tre giorni non ce la faceva più a vivere braccato.

Si presentò davanti al piantone alle primissime ore del mattino: “Devo parlare col brigadiere. E’ urgente” gli disse. Al brigadiere confessò la propria responsabilità. Era ferito al collo. Con un fazzoletto aveva cercato di tamponare il sangue. Una ferita profonda, lunga quattro centimetri. E raccontò come aveva assassinato i suoi figli, come li aveva composti l’uno accanto all’altro in ordine di altezza, raccontò di essersi poi allontanato e di aver tentato il suicidio colpendosi al collo con la stessa roncola. Poi era scappato, nel bosco.

Fu ovviamente arrestato e posto a dispoisizione del procuratore del re a Perugia. Si dispose subito una perizia psichiatrica.

A Perugia, in carcere, fu ricoverato in infermeria. Preccupante era il suo stato mentale, ma anche la ferita al collo che era infetta in maniera seria. Si procedette ad un primo interrogatorio. Era il 9 luglio, era passata poco più di una settimana dalla tragedia. “Sai perché sei stato arrestato?” gli chiesero gli inquirenti. “Non lo so proprio”, rispose. “Perché hai ammazzato tua moglie?”. “Non è vero!”, si ribellò lui. Perché hai ucciso tutti i tuoi animali. “Non è vero!”, ribadì decisamente. “Ma i tuoi figlioli li hai ammazzati?”. Valentino si rabbuiò: “Oh, li poveri chocchini!”.  “Perché li hai uccisi?”. “Mi hanno detto di farlo” rispose. E subito dopo chiese di vederli, per sapere che cosa aveva fatto loro. Il 12 luglio fu sottoposto a perizia psichiatrica. Riferì con precisione i fatti accaduti fino al momento in cui era salito su un albero per prendere un nido che voleva mostrare ai suoi figli. “A questo punto c’è come un intoppo nelle sue facoltà mentali. Né è stato possibile fargli dire una parola che gettasse un po’ di luce in mezzo alle tenebre in cui è avvolto l’assassinio. Si tratta di uno dei casi più interessanti di amnesia che la scienza registri”, fu la conclusione dei periti, due professoroni dell’Università di Perugia.

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