Infatti. Quella lapide, si decise a Roma, doveva essere affissa sulla facciata di tutte le sedi municipali d’Italia. Il 18 novembre 1935 è il giorno in cui entrarono in vigore le sanzioni economiche decise, ai primi di ottobre, dal consiglio della Società delle Nazioni, l’Onu di allora, contro l’Italia dichiarata Stato aggressore, dato che il suo esercito era entrato in armi nell’Etiopia.
Le sanzioni consentirono al fascismo di avviare una grande operazione di propaganda che giocava sull’“iniquità” della deliberazione della Società delle Nazioni, la quale vietava di vendere all’Italia armi, munizioni e materiali per l’industria bellica oltre che di far credito o prestiti e commerci con uno stato che aveva scatenato una guerra. Eccolo “l’assedio”. Ma le sanzioni, in concreto, ebbero effetti minori di quanto s’era temuto, anche perché gli Stati Uniti si dichiararono neutrali e continuarono così a rifornire l’Italia di petrolio e altre materie prime. La propaganda del regime ebbe, però e comunque, un effetto considerevole. Poi, passata la buriana, alcuni sindaci (la maggior parte) quelle lapidi le fecero rimuovere, altri avevano cose più urgenti cui pensare. Senza contare che qualcuno, quindici e più anni dopo non sapeva nemmeno più a cosa si riferisse di preciso quella frase sdegnata contro la “plutocrazia”. A Preci, tra una scossa di terremoto e l’altra, è accaduto proprio così; la lapide è rimasta lì. E oggi resta come testimonianza di un pezzo di storia italiana.
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Preci, lapide “misteriosa” in Municipio
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