Svergogna la sorella tirchia e lei lo denuncia: condannato

Borbona è in provincia di Rieti. Dalla Salaria, poco prima di arrivare a Posta si gira a destra per l’Aquila. Bastano pochi minuti a percorrere i quattro chilometri per arrivare. Il cimitero sta su, in alto, sul costone della montagna, lungo la strada che porta alla “Terra”. Non è grande ma rispecchia

la particolarità del terreno: una parte delle tombe sta nel tratto in piano, poi c’è una lunga scalinata che va in salita in direzione della cima. Ai lati, file di loculi, tombe, cappelle. La domenica mattina è molto frequentato da persone che abitano per lo  più a Roma, ma che qui hanno i loro congiunti. Della lapide che cinquant’anni fa portò Borbona alla ribalta delle cronache nazionali nessuno si ricorda più. Anche perché oggi non esiste più.

Borbona Rieti
Il cimitero di Borbona

La lapide su una tomba, che poveva avere di tanto curioso? Di quella pietra, e soprattutto di ciò che c’era scritto, dovette interessarsi il pretore, il quale fu chiamato a dirimere la lite sorta tra i figli del defunto. Accadde nel 1958. Il “de cuius” era un professore che a Borbona era molto conosciuto. Fu il figlio, che ci teneva, a commissionare la scritta. E lo scalpellino, diligente, ci mise del suo meglio. Sa’ era sempre un professore… “Alla memoria posero la moglie, il figlio, le figlie, i generi, i parenti tutti addolorati”. La sottopose al committente con un certo orgoglio. Ma l’espressione soddisfatta si mutò subito in qualcosa tra lo stupore e la delusione cocente. «Questa sarebbe la frase? Manco per sogno!» esclamò il figlio del professore. Lui quella lapide non ce la voleva e pretese che la scritta fosse cambiata. “A perpetua memoria ecc. ecc. va bene, ma poi continua così”, e dettò: “Posero il figlio e le figlie meno che Olga, Argia e Lea”.
Questioni di eredità? Qualcuno non s’era mostrato abbastanza addolorato per la dipartita? Non si sa. Figurarsi le tre sorelle! Olga, poi, fu colei che s’offese di più. Non ci stava ad essere additata al paese e ai posteri come la sorella tirchia. Fattostà che denunciò il fratello. E così il compito di risolvere la questione toccò al pretore, il quale stabilì che la frase era offensiva. Il “figlio addolorato”, ma pure stizzito, ebbe il torto. La lapide fu cambiata, la frase cancellata e sostituita con poche essenziali parole. Non c’è scritto chi tra i parenti s’occupò di far apporre la nuova pietra tombale, chi cacciò i soldi, insomma: uno, nessuno o tutti quanti?

 

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