Per vendetta i ternani rubano la mula al papa

 

Mula
Per dispetto i ternani rubarono la mula al papa (Foto di Enrico Valentini)

Un attentato? L’assalto di uomini armati lungo la Flaminia? I ternani scelsero lo sberleffo per mostrare la loro ostilità al papa. L’importante era che capisse che aria tirava a Terni nei suoi confronti. Il papa era Clemente VII, Giulio di Giuliano de’ Medici. Era stato costretto a ritirarsi, un paio d’anni prima, ad Orvieto. Il 1527, come noto, fu l’anno del “sacco” di Roma compiuto dai soldati dell’imperatore Carlo V e dai Lanzichenecchi, ma a muovere l’attacco armato furono uomini al soldo del nemico di Clemente VII, il cardinale Pompeo Colonna. Una potente famiglia romana contro una fiorentina. Vista la mal parata Clemente arguì ch’era meglio per lui andare a  respirare un po’ d’aria buona fuori Roma. E si stabilì ad Orvieto.
Nel 1529, deciso a lasciare il volontario esilio orvietano stava organizzando la sua rentrée. Per capire che aria tirava, prima di muoversi verso Roma, decise di compiere un giro in alcune zone del papato, prima di tutto a Terni, che a suo tempo s’era schierata dalla parte del cardinale Colonna, tanto che Clemente bollò i ternani come traditori. Nel 1526, anzi, li aveva severamente puniti sfruttando l’occasione dell’ennesima scaramuccia tra Terni e Narni, nel quadro di un’antica rivalità esistente. Il papa impose la pace che fece pagare soprattutto ai ternani cui confiscò ingenti patrimoni, esiliando numerosi personaggi e stabilendo una “multa” particolarmente onerosa per le casse del municipio.
Per Clemente, che voleva rimontare in sella, era importante conoscere quale aria tirasse a Terni. Per darsi una regolata, se non altro. Ma poteva sperare che i ternani avessero dimenticato quel che aveva fatto loro subire solo tre anni prima?
Saputo del programma papale, a Terni aspettavano con ansia. Ad evitare che si pensasse ad un atto arrogante e provocatorio da parte sua, il papa decise di arrivare in sordina: a cavallo di una mula, senza vistosi paramenti (indossò solo il rocchetto e la stola), intenzionato a restare una sola notte che avrebbe passato nell’episcopio per incontrare i rappresentanti del clero cittadino. Loro gli avrebbero spiegato la situazione. Poi al mattino via, verso Spoleto e le Marche. Fu perciò sorpreso quando proveniente dalla Flaminia a Porta Romana trovò una folla ad attenderlo. E ancor più quando un gruppo nutrito di giovanotti lo circondò per issarlo sulla “sedia papale” formata da alcuni di loro intrecciando le mani. Possibile che i ternani avessero già dimenticato? Che avessero capito di aver sbagliato a mettersi contro di lui e che si fossero perciò ravveduti? Certo che sì, perché altrimenti non lo avrebbero aspettato per fargli tutte quelle feste, portarlo addirittura quasi in trionfo.
Invece proprio questo fu. I giovanotti formarono la “sedia”, vi misero di peso Clemente e in corteo s’avviarono verso la sede vescovile.
Il papa ebbe come un’ispirazione e capì. Ma era già troppo tardi. Per trasferirlo sulla “sedia del papa” gli sfilarono da sotto le auguste terga la mula, che in un attimo fu fatta sparire. Rubata. Provò a protestare, il papa, ma quelli gli fecero capire con mezzi rudi e concreti che non avrebbero esitato a passare a vie di fatto se non l’avesse piantata. La mattina dopo quelli del seguito lo portarono fino a Spoleto, dove gli procurarono un cavallo. Danno pesante? Per le casse papali no, ma Clemente – è scritto nei diari dei viaggi del papa – rimase «alquanto turbato».
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