Terni, ricattatore in manette per colpa della pigrizia

Fare un po’ di soldi senza fatica? E che ci vuole!, pensò lui, basta chiederli a chi ce l’ha. Elementare. Tanto più che uno che i soldi ce li aveva lui lo conosceva pure. Lui, il protagonista della storia, aveva 17 anni. Abitava a Terni nel centro storico. Quello coi soldi era un ingegnere che incontrava spesso, un certo Eraldo. Il quale una mattina nella buca della posta trovò una lettera: «Sono pronto a farti male, molto male – c’era scritto – Se vuoi evitarlo devi darmi trenta milioni». Seguivano le istruzioni: i soldi andavano messi un una valigetta che l’ingegnere doveva lasciare un dato giorno ad una data ora, in un punto preciso, sulla sponda destra del Nera. Era il mese di febbraio del 1950.
Fatto!, pensò il giovanotto. Ormai c’era solo da aspettare la data fatidica. Comunque prima della festa di San Valentino, il patrono di Terni che cade il 14 febbraio. Trenta milioni erano una bella somma: nel 1950 ci si potevano comprare 25 automobili del tipo “1400” che la Fiat proprio in quel periodo aveva lanciato e che costavano 1 milione e 260mila lire. Il pane stava a 94 lire al chilo, la carne a 760.
Poi il giovanotto cominciò ad avere qualche dubbio. Di notte, al freddo, scendere lungo l’argine del Nera… C’era il rischio di scivolare e finire in acqua… E poi? Sarebbe potuto passare qualche malvivente che magari poteva rapinarlo. Oppure un poliziotto che lo avrebbe arrestato. No, no. Contrordine. Nuova lettera all’ingegnere. «La valigetta coi soldi devi lasciarla al barista del caffè del teatro Verdi!». Si, così era meglio: gente che va e che viene, niente freddo, niente pericoli. Già, ma il barista? Bisognava pensare pure a lui. Altra lettera di minacce: «Passerà l’ingegnere tal dei tali: ritira quello che ti darà. Poi passerà un nostro incaricato. Se non vuoi morire, acqua in bocca». Due lettere scritte proprio come si deve, con la giusta cattiveria, e– ovviamente– anonime. E poi era stato furbo: aveva cercato di mascherare la calligrafia. Già, perché le aveva scritte a mano. E così, poi, ci volle un niente per incastrarlo.
Lo presero subito. L’ingegnere denunciò tutto alla polizia. Poi, all’ora stabilita, nel primo pomeriggio di una fredda giornata di febbraio, si presentò al bar del teatro Verdi con la valigetta in mano. Due parole al barista e quindi la consegna. Dopo di che l’ingegnere girò i tacchi e se ne andò. Poco prima di lui erano entrati due clienti che s’erano seduti ad un tavolo ordinando un caffè. Erano poliziotti. Pronti ad una lunga attesa. Invece a momenti non facevano in tempo nemmeno a finire il caffè. Perché manco un quarto ecco un giovane, uno dei clienti abituali del locale il quale, senza nemmeno guardarsi intorno, andò dritto dritto dal barista: «Devo ritirare una valigetta»», disse. Il barista eseguì. Il giovanotto ebbe giusto il tempo di fare due passi verso l’uscita. Gli agenti lo bloccarono, chiusero la porta del bar e trattennero anche il barista del cui comportamento chiesero conto. «Ecco qua – rispose questi sventolando un foglio –mi hanno minacciato di morte se non facevo da passamano». «E tu?», chiesero gli agenti al giovane: «Pure io ho ricevuto una lettera minatoria. Sono nella stessa situazione del barista», rispose prontamente. E dalla tasca posteriore dei pantaloni estrasse il foglio su cui erano scritte le minacce. Il fatto fu che le lettere, comprese quelle recapitate all’ingegnere, avevano tutte la stessa calligrafia. Gli agenti chiesero al giovane di scrivere le generalità. Bastò il nome di battesimo, Lorenzo, e già era tutto chiaro. Il perito calligrafo doveva solo metterci il timbro dell’ufficialità.
Lorenzo ci rimase male. Non si spiegava com’era che l’avessero beccato subito. Eppure s’era creato pure l’alibi con la lettera per sé stesso… Sarà stata colpa della pigrizia? Chissà, forse se non si fosse fatto portare i soldi addirittura al bar…
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